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22 aprile, Giornata della Terra
DAL TRAMONTO ALL’ ALBA
fiaba fanta-ecologica
by Paola Leoncini
Convergevano tutti verso lo stesso luogo, a pochi chilometri dalla costa.
Le tre piccole imbarcazioni, portanti ognuna tre persone, fra cui il rematore, si avvicinavano lente, dolci, delicate e silenziose all’isola, facendosi faticosamente strada nella grigia e fredda nebbia che sembrava avvolgere l’intero mondo, almeno quella sera del Mese Verde (Aprile), al termine di quello che avrebbe dovuto essere un inverno, ma del quale, ormai non c’era più traccia né ricordo, essendosi le stagioni unificate in un’estate arida e spietata senza soluzione di continuità.
La vivida luce purpurea del Sole che anche quella sera, stanco dal lavoro quotidiano, si apprestava scendere nel mare, era sciolta in quella nebbia risalente dalle acque tiepide, distribuendo il rossore della sua fatica in tutto ciò che c’era rimasto intorno, ossia quasi nulla, ma non sull’acqua che a malapena sfiorava con solo un’ accennata striscia rosso più chiaro.
Il silenzio materiale nella zona era disturbato soltanto dallo sciacquio dei remi che, pigri, venivano tuffati in acqua per mandare avanti le barche, senza fretta, anch’essi passivamente partecipi all’evento che stava per verificarsi.
Le tre piccole barche giunsero sulla spiaggia dalla sabbia color amaranto come la terra brulla che s’incontrava dopo, nell’inoltrarsi sull’isola.
Avrebbero potuto celebrare il rito in qualunque altro luogo, poiché ovunque il panorama era lo stesso: aridità e desolazione, ma il Saggio li aveva informati che sull’isola erano stati avvistati segni di vita.
Lasciate le barche a riva, le nove persone, fra le quali il Saggio stesso, s’incamminarono lungo un sentiero formatosi naturalmente sul suolo secco, fra massi di roccia nera che, uno di seguito all’altro, parevano aver disegnato il profilo di un umano steso al suolo, nero contro il cielo amaranto del Sole che scendeva nel mare.
Le scure dita scheletriche di arbusti spinosi, smagriti dalla siccità, sembravano uscire dalla terra riarsa nel gesto pietoso di richiesta d’acqua e luce.
Raggiunta una radura, il Saggio ordinò ai suoi compagni: cinque donne e tre uomini, di fermarsi alzando semplicemente la mano destra in tono solenne, senza parlare. E tutti e nove si fermarono nella radura, mantenendo quel silenzio sacro, che pareva acquistare peso prendendolo dall’oscurità incalzante di un’ennesima notte sulla Terra.
Ciascuno dei nove membri del gruppo teneva in mano un ramo secco, preziosa reliquia, testimonianza di un tempo che fu, in cui il pianeta era ricoperto dalle piante che generavano quei rami. Ma di quel tempo se n’era perso il ricordo, cancellato anche dalla scomparsa di qualsiasi strumento che avesse potuto conservarne la memoria, almeno iconografica.
Il silenzio si fece ancor più consistente e accompagnò il disporsi a cerchio intorno all’oggetto del rito, con una musica remota, instillata nelle menti dei nove, e ascoltata solo da loro.
L’assenza totale di rumori e suoni, se si escludeva il lontano sciabordio delle piccole onde che s’infrangevano tranquille sulla spiaggia, contribuì a fornire una concentrazione mentale massima tale da provocare, dopo pochi minuti, l’accensione dei rami mantenuti dai nove celebranti il rito. E le fiamme che avvolsero le sommità dei rami illuminarono, nelle tenebre ormai completamente scese, i loro corpi asciutti, nascosti dalle lunghe vesti rosso scuro, e ciò per cui quegli esseri umani si erano recati fin lì, ovvero: un giovanissimo alberello, alto forse una cinquantina di centimetri, ai lati del quale, spuntavano timide esili braccine terminanti in manine che sembravano chiedere di essere accarezzate da altre mani più grandi, forti e calde.
Nove sguardi intensi e speranzosi confluirono sulla creatura nata da poco.
“Siamo qui riuniti – esordì il Saggio, con voce chiara, potente ma anche soave – per celebrare la vita che rinasce”.
Otto paia di occhi puntarono sulla figura sottile ed ascetica del loro capo: un uomo di media età, longilineo, e dal volto magro, angoloso, lievemente brunito, addolcito da barba, baffi e capelli quasi candidi, che gli conferivano l’aspetto di persona dalle vaste conoscenze sul mondo e l’universo e sembravano donargli la saggezza attesa dai suoi simili. Il saggio restituì loro il suo sguardo chiaro e magnetico, profondo e indagatore, in grado di scandagliare un’anima fin negli angoli più reconditi ma anche di trasmettere fiducia e parole sempre buone.
“Lo siamo anche per festeggiarti, Saggio. – aggiunse una delle donne – La tua nascita è stato il segno della speranza”.
“Non è importante. – obiettò il Saggio – L’importante è che Madre Terra ci abbia perdonati”.
” E lo ha fatto, credo!” osservò uno degli uomini.
“Si, – confermò il Saggio – ma non basta. Dovremo pregarla a lungo tempo affinché Ella ci renda indietro ciò che noi le abbiamo tolto”.
E dopo aver detto questo, i nove si presero per mano ed avviarono un canto a sola voce, unico suono che per tutta quella notte coprì, ma non completamente, lo sciacquio del mare. Ed il piccolo albero parve acquisire altri centimetri e grammi da quelle note mantriche, che parevano avere la forza di vero amore.
Da decenni, o forse secoli, il tempo non veniva più misurato, tuttavia, secondo i calcoli che il Saggio teneva, quello doveva essere il primo Mese della Primavera per via dei tramonti e dei colori che la Natura superstite assumeva in quel periodo, anno 2500 dopo …. dopo niente! Anche Cristo se n’era andato, e dopo di lui, nessun altro Cristo, o chi per lui, si era fatto ….avanti! Ma malgrado Madre Terra e la sua natura fossero state scorticate a morte da chi avrebbe dovuto invece curarle per beneficiare dei loro doni, in qualche modo, misteriosamente e miracolosamente, esse avevano deciso che valeva la pena riprovare a risorgere e a dare all’Uomo una seconda chance, augurandosi che, nel frattempo Egli avesse capito.
Nel mentre, aspettando che nascesse un’altra eventuale entità superiore, la piccola creatura verde, spuntata dall’arido suolo da poche ore, fu l’oggetto di venerazione da parte dei mortali, dal tramonto all’alba.